Il linguaggio ha qualcosa di meraviglioso. Il modo per influenzare le azioni e gli stati altrui e quello in cui venire influenzati. Ben prima dello scopo espressivo, che riguarda già un bisogno personale ulteriore, il linguaggio serve a produrre un cambiamento al di fuori di sé, nel tentativo di modificare la propria condizione.
Quello che trovo straordinario è che ci siano forme estremamente diversificate di linguaggio, alcune più semplici e altre più complesse, che nascono e mutano a seconda dal livello di complessità gestibile da un certo tipo di organismo e dalla sua conformazione fisiologica. Parallelamente alla necessità di agire sul mondo attraverso il linguaggio, modelliamo anche la nostra realtà interiore, che a mano a mano cresce e si sviluppa secondo il modo in cui impariamo a parlare a noi stessi.
Ma quello che trovo ancora più straordinario è come un linguaggio diverso dal primo che viene appreso alla nascita possa aggiungere sfumature di significati altrimenti impossibili da notare.
Porterò sempre con me la prima volta in cui sperimentai questa conoscenza, che può fungere da valido esempio. Il professor Armellini, durante una lezione al mio secondo anno di università, ci insegnava quella materia stupenda e magica che porta il nome di Letterature Comparate, ossia un modo creativo e profondo di ritrovare nella ricerca accademica sensi arcani ed evocativi, confrontando due o più opere letterarie appartenenti a letterature, culture, epoche diverse. In una delle prime lezioni ci lesse Baudelaire e si soffermò su uno dei versi d’apertura, ed in questo su due specifiche parole: “La mer”.
In quella poesia dedicata all’uomo e al mare, le lettere di queste due parole devono, per loro intrinseco dovere e ragion d’essere, identificare il soggetto, ossia la titanica mole d’acqua salata che è il mare. Anche non conoscendo il francese, lingua in cui è stata concepita la poesia, avremmo potuto dirci soddisfatti nel leggerla, soprattutto grazie a tutte le numerose traduzioni. Ma poi, attraverso l’espressione delle conoscenze ricercate, acquisite ed elaborate dal lettore delegato – e pertanto interprete, professor Armellini, scoprii che nel senso nascosto di quella poesia, nelle intenzioni di chi ha sapientemente ricamato quella sequenza di lettere, la pronuncia di “la mer” suona come quella di “la mère”, la madre, affidando l’idea del mare all’evocazione della figura materna, stuzzicando ogni altro livello di significato soggettivo.
Mi sentii improvvisamente pesante sulla mia sedia, non appena intesi lo spessore della stratificazione di significati anche lontanamente possibile, la quantità di letterature e linguaggi ed epoche presenti e passati sul nostro pianeta.
Quindi un giorno una gatta venne nel giardino di casa mia e, grazie all’indole della nostra famiglia, che si trovò in accordo con l’indole della gatta, rimase. Iniziai allora a leggere numerosi libri sui gatti, al fine di comprenderne il comportamento in modo accurato e desiderando ardentemente di poter generare una comunicazione precisa e funzionale con la nostra nuova coinquilina. Non solo appresi i significati delle sue azioni, ma ben presto mi intrisi della sua piccola e semplice cultura, la quale nasconde un potere che gli animali hanno su di noi homini (che siamo naturalmente portati ad estendere la visione antropocentrica su tutte le creature) comprensibile se si accetta di avvicinarsi abbastanza alla loro dimensione.
Risultato di questa condivisione culturale è stata la possibilità, per me, di scoprire sfumature di significato, nell’agire di quella gattina, che altrimenti sarebbero rimaste invisibili, o quanto meno non avrebbero prodotto nessuna reazione. Per cui oggi, dopo anni di convivenza, sento il mio spirito sorridere ed un pensiero di calore invadermi, quando la guardo e lei mi guarda, tranquilla, socchiudendo gli occhi a poco a poco, per dirmi che mi vuole bene.