Dicono che non si possa amare la nebbia. Fa paura, è pericolosa, non si può amare qualcosa che fa paura. Ed è così, non si ama la nebbia. Come non si ama il luogo in cui si nasce: è qualcosa di diverso, qualcosa che non ha a che fare con le preferenze, lo si ha nel cuore e basta, bello o brutto che sia.
Fa parte della pianura come il granturco, come le zanzare, come il profumo della terra rivoltata d’autunno. La nebbia è un po’ casa mia. Negli anni in cui da bambino migravo nell’adulto, perso lungo la strada, mi sembrava che nella nebbia non dovessi cercare nessuna direzione. Volevo perdere i miei confini come i lampioni perdevano i loro, come gli alberi, come gli edifici eterei. Diventavo veramente invisibile.
Amavo certe sere della Domenica, d’inverno, dove sceglievo le strade a me più lontane nel piccolo paese per camminare, coi pugni in tasca, etereo, nel cuscino di fitta melassa biancastra. Sotto i capelli la mia mente si connetteva, melassa con melassa, densi pensieri nel denso lattiginoso, e subito trovavo sollievo, perché l’indefinibile, ciò che rimaneva del mondo, non era altro che linee affioranti, segmenti, puntini da unire ed era questa dimensione a rassicurarmi. A fronte dello sgomento per cui avrei voluto cadere sulle ginocchia incredulo della smisuratezza delle stelle nelle notti più terse, l’ovatta vaporosa tamponava la follia del mio stupore ingenuo e inarrestabile.
Diventavo movimento; chissà forse nemmeno tanto consapevole, per vagare a quella maniera nella nebbia. La cerco ancora. La trovo ogni tanto. Ha ancora lo stesso effetto su di me.
Scompaio qualche altra volta nel buio e nella melassa.
come molti fenomeni naturali, sarebbe del tutto innocua se l’uomo non avesse inventato le sue diavolerie…
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Ben detto! 🙂
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È speciale anche l’odore della nebbia, quasi un respiro nel nostro respiro…
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E’ un’immagine bellissima!
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