La velocità delle onde

Corro in linea retta lungo la battigia di Playa Negra, anch’essa di onde formata, dove la sabbia si modella secondo le risacche in leggeri avvallamenti. L’oceano li riempie percorrendo maggior distanza e ad ogni spinta si addentra audacemente sulla spiaggia. Non ci tocchiamo mai. Corro alla velocità delle onde. Ho cambiato velocità, oltre che Stato. Lavorando qui, cercando di spendere il meno possibile, raccogliendo l’invenduto dalle bancarelle di frutta e verdura, sviluppando i contatti per recuperare risorse, ho la sensazione di poter osservare il movimento da una visuale privilegiata. Mi trovo in un mondo parallelo a quello dei turisti e dei menù dei ristoranti e dei bar, della vita notturna, delle fotografie. Adesso è il tempo della pandemia, che ha costretto la chiusura dell’Italia, e sebbene possa tornare in caso di emergenza, rimangono pochi voli e i viaggi non indispensabili sono scoraggiati. Anche se spero che la situazione cambi presto, è bastato questo piccolo tempo di pericolo globale per virare nuovamente i colori della mia esperienza.

Mi sono sempre sentito molto simile a James Joyce, i cui libri e la cui vita mi hanno insegnato il piacere di risignificare in quanto atto curativo e rivoluzionario dell’identità. Perfino ora, ad anni di distanza dalla mia tesi, egli torna a parlarmi proprio grazie all’esilio. Sebbene non l’abbia cercato e non vi sia nessun provvedimento legale contro di me, mi è difficile far ritorno al mio paese ed è sconsigliabile viaggiare su mezzi chiusi come autobus affollati o aerei, per cui è come se mi trovassi temporaneamente in esilio. Mi trovo a pensare a questo luogo, che inizialmente consideravo una meta di passaggio, come una possibile nuova casa.

Tutta la costa di Puerto Viejo si imbelletta d’aria iodica al tramonto, che traspira dalle creste delle onde e, in foschie umide e nebulose, lentamente sale a riva disperdendosi tra le file di palme. Con lo stesso ritmo la gente di qui pedala o passeggia, balla, fa tardi la sera, lavora solo se deve, per quanto tempo è necessario. L’economia è fortemente sorretta dalle attività dei gringos ed è questo che vedi appena arrivato, quell’eco del concetto di occidente che sta in piedi proprio come le case sulla spiaggia, fatte di canne e tetti di lamiera, costruite senza pensare alle necessità di un possibile inverno e sempre e comunque bisognose di una guardia notturna.

Vivo in un bungalow riadattato all’interno di un lodge. Ho dai cento ai settecento coinquilini, credo. Non è raro che i signori Scarafaggi passino a visitarmi, magari dopo la doccia, quando l’umidità aumenta, causandomi non poco batticuore. Come tre notti fa. All’inizio mi infastidiva sudare sempre tanto ogni giorno, così da dover bere molto proprio prima di coricarmi la sera e svegliarmi più volte per andare in bagno. Ma ora invece lo faccio apposta, per avere l’occasione di controllare che non ci siano scarrafoni che camminano sopra il mio letto. Su questi muri vivono e lavorano altre rispettabili colonie di formiche, anellidi, gecki (ai quali ben auguro una felice riproduzione e attento operato), ragni, ma sappiamo tutti convivere splendidamente; io mi faccio gli affati miei, loro si fanno i loro, nei loro spazi. Ma con gli shcarrafoidi non è così. Sono come i pirati degli insetti. Alle 23:00, mentre mi trovavo nel pieno di un’emissione di liquidi, un punto nero semovente ha catturato il mio occhio. Ci siamo guardati per lungo tempo, io imprecando, lui muovendo le antenne (ma scommetto con lo stesso proposito). Ho preso la scopa constatando la sua notevole velocità e l’ho messo alla porta, accompagnato fuori e, come solitamente faccio, preso una gran rincorsa per scaraventarlo il più lontano possibile come un giocatore di hockey, vicino alle altre capanne del lodge. In quell’atto di estrema furia lo stecco della scopa si è spezzato, esploso nella mia mano, nel punto in cui avevo concentrato il massimo dell’energia. Avevo visto fare una cosa così solo ai monaci Shao-lin prima di me.

La gente qui è molto generosa. Quando ho iniziato ad andare in giro chiedendo rimasugli o frutta da buttare alle bancarelle mi guardavano in modo strano, con diffidenza, soprattutto perché ero straniero. Forse non quadrava la mia immagine con quella di uno squattrinato; di solito gli stranieri portano soldi, vanno ai ristoranti, comprano. Con il passare del tempo ho approfondito la conoscenza del paese e del tessuto sociale, ho capito dove andare a prendere i cocchi e come lavorarli per ottenere olio di cocco. E se all’inizio dovevo sudare per sperare di ottenere qualche mango mezzo marcio, ora i ragazzi della fruteria mi fermano per strada per avvertirmi che hanno cose da darmi. Però ora è difficile approfondire conoscenze. Si deve stare ad almeno un metro e mezzo di distanza e quando Bryan mi ha chiesto da dove venissi è crollato, ha perso il sorriso e si è allontanato senza che io potessi capire che mi pensasse appena arrivato dall’Italia sconquassata dalle infezioni attuali.

E’ stato un tempo strano per arrivare in Costa Rica, non cercato né troppo voluto, solo venuto. Le reazioni sulle mie braccia mi dicono che c’è un equilibrio, qui, anche per me, per la mia pelle. I turbamenti attorno alla decisione di partire per l’Italia o di rimanere ne accrescono il prurito, ma attraversati anche quelli ecco che l’allarme rientra. Questa terra ha molto da dire.

Pubblicato da lucafraz

Sono nato atopico e ho passato molto del mio tempo grattandomi braccia e gambe, perlopiù; quindi sono "diventato" atopico: ho smesso di abitare un luogo determinato.

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