Una delle cose nuove che più di tutte ho conosciuto in questi ultimi tempi è la profondità di un’esperienza di libertà. Di quella libertà che spaventa, che confonde, che lascia fermi a fare il morto in mezzo al mare. Della situazione di non avere regole né direzioni. Superando questo impatto ho conosciuto anche il sapore di novità ed entusiasmo che solo la certezza di poter fare quello che voglio può dare. Un’idea più completa di libertà quindi, più grande, che smette di avere a che fare con le interpretazioni, per le quali si è liberi nella misura in cui si sta bene. Libertà come cataclisma, crisi, fatica e allo stesso tempo evento, risorsa, strumento. Me ne sono tornato a Povegliano conservando questo fagotto prezioso in un borsello spirituale. Poi un giorno di Maggio ho ritrovato nel giardino di casa mia, seduti su ceppi di legno, i miei amici e parlavamo della fossa Liona, di come S. si prodigasse, in maniera del tutto gratuita e spontanea, a curare quel luogo.
Ma vediamo di spiegare meglio, innanzitutto, che cosa è la fossa Liona. Scrivono Rallo-Pandolfi in Le zone umide del Veneto:
Le acque piovane e quelle dei fiumi che scendono dalle zone alpine, vengono assorbite dai terreni grossolani presenti nella zona pedemontana, al punto che alcuni corsi d’acqua possono diventare delle asciutte distese di ghiaia. Procedendo verso valle le acque sotterranee incontrano depositi più fini e meno permeabili, in questo modo le falde diventano superficiali fino ad emergere nelle numerose polle od “olle” risorgive. Oltre alle sorgenti naturali, ne esistono anche altre, modificate dall’uomo per scopi irrigui, che prendono il nome di “fontanili”. Sono escavazioni praticate fino a raggiungere il livello freatico, da qui si diparte un ramo, inizialmente ristretto, cui fa seguito un canale emissario. La zona di scavo, dove si trovano le polle, costituisce la “testa”, la porzione successiva prende il nome di “asta” del fontanile.
A Povegliano esistono diverse risorigive, le principali, come annota Roberto Cazzador nel suo lavoro di tesi Progetto di riqualificazione e conservazione delle risorgive di Povegliano Veronese, sono: Draga (origine naturale), Liona (origine naturale), Bora (origine sia naturale che antropica), Moretta (origine naturale), Giona (origine antropica), Calfura nuova (origine antrpica, con tubi), Fontanin (origine antropica, con tubi, al di fuori del territorio del Comune). In pratica, la Liona è una sorta di piccola oasi di frescura, nonché un ricchissimo ecosistema estremamente tipico della nostra zona padana. Io, come molti miei compaesani delle generazioni precedenti, sono cresciuto tra le rive di questi fiumiciattoli d’acqua gelida. Non appare strano quindi che l’amore per la nostra terra muova le persone a curarla. Ma la cura nasce ove vi sia un danno, perché in effetti l’accesso alle fosse è ed è sempre stato libero, convogliando moltissime persone e moltissimi interessi diversi. Non appare nemmeno strano che i frequentatori abbandonino rifiuti di ogni genere, alterando l’equiblibrio naturale del luogo.
Alle problematiche ambientali di gestione della risorgiva e del suo ecosistema, già evidenziate nel lavoro di Cazzador, relative alla manutenzione del bacino e delle sponde, sono comparse anche problematiche relative alle dinamiche sociali, che oltre ad influenzare l’aspetto naturale della fossa hanno segnato la sua definitiva antropizzazione. Nel parlare della Liona, pensandola, ho finito per guardare alle risorgive con occhi diversi, abbracciando di comprensione tutti i tipi di utenza che inevitabilmente sono diventati parte del contesto legato a quel luogo e ne hanno costituito la sua caratterizzazione. Tuttavia esiste un fattore insolito ma importante che definisce le risorgive in modo peculiare, perché sebbene vi sia varietà di etnie, di lingue, di usi, manca una vera e propria entità di controllo.
Esistono sì leggi, direttive europee e delibere regionali che tutelano le risorgive, ma la quotidianità del territorio è altra cosa. Tra i frequentatori ci sono coloro che deliberatamente sporcano, arrivando a vivere la fossa come un contesto personale, ma ci sono anche coloro che la scelgono per una gita fuori porta o per stendere una tovaglia e fare un picnic in famiglia. Eppure c’è una differenza con gli altri luoghi pubblici. Per esempio, se qualcuno accendesse un fuoco in piazza sicuramente la Polizia interverrebbe o qualche solerte cittadino si muoverebbe appellandosi alle forze dell’ordine. Se invece qualcuno accende un fuoco alla Liona questo non succede. Nel caso dei rifiuti, su tutto il Comune è previsto il servizio di pulizia urbana, ma non al di fuori del centro abitato, non in mezzo ai campi. Alla Liona non ci sono incaricati pagati per raccogliere i rifiuti. Pare quindi che tutti coloro che vi soggiornino abbiano un limite di tolleranza più alto verso il “disordine”; allo stesso tempo c’è anche la presa di responsabilità da parte di alcuni individui o gruppi che invece si recano sul luogo per pulire e curare l’ambiente di propria spontanea volontà.
Se guardiamo al sistema Liona senza decidere arbitrariamente che deve essere un luogo “pulito”, ossia caratterizzato (dal momento in cui sono stati palettati gli argini, dragate le alghe, installato un pontile il luogo ha smesso di essere naturale), potremmo quasi dire che esista un equilibrio, una sorta di autonomia nei meccanismi di controllo e cura espressi da coloro che lo frequentano. Mi è parso di cogliere, in tutto questo, il riflesso di una libertà totale, dove puoi fare ciò vuoi. Mi è parso un luogo libero come libero può essere Internet, dove chiunque può essere chi vuole e pubblicare ciò che vuole ma anche prendersi cura di curare e difendere l’esperienza virtuale delle altre persone, con la differenza che alla Liona i rifiuti lasciati si vedono. Non solo, ma se non si guarda a tali comportamenti come giusti o sbagliati, se si elimina il giudizio cioè, quello che rimane è un sistema di interazioni umane spontaneo. In altre parole, le persone si prendono cura di un’area, e di conseguenza dei suoi fruitori, senza che vi siano regolamenti o controllori a vigilare sul comportamento della gente.
Sono nate delle domande in seno al nostro gruppo di dibattito improvvisato. Domande originate dalla frustrazione di chi spende il proprio tempo a pulire e vede sempre nuovi rifiuti depositati a terra. E’ possibile insegnare alle persone come prendersi cura del luogo dove passano il proprio tempo? In che modo si può evitare la frustrazione di ogni volta che mi rechi alla Liona per pulire? Chi, in sostanza, arbitra sulla libertà dei presenti? Sono domande che vanno a fare leva sulla morale, senza considerare la dimensione delle preferenze soggettive. Ordine, pulizia, cura sono concetti apparentemente scontati ma che sono solamente un’eredità culturale, che cambia da cultura a cultura. Rispecchiano il range di preferenze della maggioranza della società che abita e amministra un luogo. Ma cosa cambia se, mettendoci nei panni di coloro che vengono taggati come “sporcatori”, riconosciamo che ci sono delle preferenze, che per quanto strano possa sembrare, non riguardano l’ordine, la pulizia e la cura? Sono una dimensione a sé, lontana, ma che capita di osservare condividendo un luogo. Aggiungo, che capita di osservare condividendo un luogo in cui si manifesti la libertà. Ad alcuni allora potrà sembrare che la libertà assuma una forma stranamente repulsiva, mentre ad altri potrà non sembrare nemmeno libertà, in quanto manifestazione di oppressione e controllo. Ciò che manca, il più delle volte, è un vero scambio, un passaggio di informazioni tra gli uni e gli altri. Una mancanza che fa in modo di creare per ognuno dei frequentatori o dei gruppi altrettanti luoghi diversi e distanti. Separati anche se insieme. Vicini ma incomprensibili. Scherzando potremmo dire che fin qui una risorgiva spiega come nascono le guerre.