La cattività. Uno dei fatti più oggettivi legati all’attuale situazione pandemica è l’esperienza, provata da milioni di persone, di vivere come una tigre allo zoo. Solo che nessuno, per quanto i tatuaggi o le canzoni che ascolta comunichino personalità, è una fottuta tigre.
Devo dire in tutta franchezza che rimanere a casa dal lavoro e condividere un monolocale con il mio collega per quattro mesi, in alta montagna, senza che smetta mai di nevicare, mi prova decisamente. Non perdo la sanità mentale, almeno spero, ma che la mia serenità acquisti un andamento erratico quello sì, succede. Per cui ieri sera la testa mi prudeva, la pelle era secca e mi dava fastidio. Questo è un segnale: le situazioni di disagio accentuano la mia dermatite. Sembrava che ogni attività a cui mi dedicassi non facesse altro che alimentare un’apatia divorante. Nulla andava bene. La pelle scricchiolava. A letto mi sentivo annichilire e desideravo che la giornata finisse.
Poi oggi ho camminato. Camminare è la più antica delle medicine. Sono uscito nella neve alta, tra i fiocchi pioventi. I primi passi erano pesanti e dovevo respirare più forte per chiamare ossigeno. Scivolavo di tanto in tanto. Le ruspe e i camion liberavano le strade. Le montagne sfumavano in bianco ed il cielo non esisteva più. Se alzavo la testa vedevo solo il foglio bianco Fabriano dell’ora di artistica alle medie, quando il disegno era ancora da iniziare.
Lei lo sa, mi aveva detto che dovevo uscire. E ci siamo chiamati al telefono ed era come se stessimo passeggiando insieme.
Mi sono fermato in una delle vie laterali. Finiva in un grosso cumulo di neve che dava sopra il fondovalle. Lontano il lago ghiacciato ci divideva da Tignes Le Lac e alcune persone sciavano sulla sua superficie. Dei cani abbaiavano in lontananza mentre tre slitte preparavano le mute alle quali erano attaccate. Qualche minuto dopo eccoli partire come negli inverni artici.
In quel momento avevo freddo ma non sentivo freddo. Ero fermo ed intorno c’era silenzio. Il suono esatto della neve quando cade. Silenzio. Il peso accumulato nelle fibre e nell’anima se ne andava. E’ stata una sensazione bellissima, di dolcezza… come una carezza di vita. Dimenticarsi della pesantezza e ritrovare la comunione con l’aria, con l’aperto, con lo spazio. Con il silenzio.
Quindi mi sono diretto a comperare una pagnotta di pane alle noci. Voglio sempre avere, ovunque vada, una fetta di pace da mangiare.
Bel racconto! Ed è vero quello che dici… Io la neve la immagino soltanto.. Ma per altri motivi sono quasi sempre in casa… È dura ma credo soprattutto per i giovani!
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Grazie!
Sì è dura, davvero per tutti, non solo per i giovani. Ti mando un grosso abbraccio 🙂
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grazie anche a te!
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Camminare restituisce il senso del sé, ci si ritrova… e ci si sente liberi: se c’è la neve è ancora più bello. e poi… come cibo il pane!
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Anche tu sai apprezzare le cose semplici della vita 🙂
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