New Year’s Eve

L’Oceano Pacifico roboava piegandosi su se stesso, sotto un lenzuolo di foschia frizzante; il perpetuo timbro gutturale di un bonzo in meditazione. Totale. Ogni onda sfrigolava coricandosi sulla mezzaluna di sabbia di Chesterton Bay.

Era addentrarsi nella grandezza dell’oceano, nelle sue volte di smeraldo sfaccettato, aspettarne una nuova, poi un’altra, guardando a nord la superficie dell’acqua puntinata dalla pioggia. “Don’t grab the board on the sides!” Adam mi diceva ogni volta che cadevo sbilanciandomi di lato. “Ok, doesn’t matter…”. No! Adam non gettare la spugna con me! Ero deciso a dimostrargli che tra me e la tavola fosse quella l’unica veramente rigida. E alla fine ci sono riuscito: surfare! Anche se per poco, pochissimo, ma che gusto incredibile!

L’acqua dell’Oceano di Tofino non sembra così salata come mi ricordavo fosse il Mediterraneo. Mi preoccupava non poco l’idea di finirci dentro, soprattutto per il freddo, era il 28 Dicembre. Eli diceva che la parte peggiore sarebbe stata infilarsi la muta, poi muovendosi non ci sarebbero stati problemi. Infilarsi la muta è stato il punto di svolta, quando l’acqua ha iniziato a penetrare negli stivaletti era troppo tardi per tirarsi indietro. Ma Eli aveva ragione. Gli ho dato fiducia sin dal momento in cui, entrato in camera dopo la doccia, mi ha invitato al torneo di biliardo.

All’ostello erano in molti a venire per il surf, anche se d’inverno. Molto più tranquilla la spiaggia, meno affollata, ma onde sempre grandiose. Ci si affeziona subito a un posto così, che dei surfisti sembra aver adottato la filosofia. E’ vero quello che si dice di questi pellegrini del mare, sono una razza a sé. Matt, nella sua saggezza alcoholica, sosteneva che stare nell’oceano fa bene all’anima. Non avevo capito veramente di che sensazione parlasse fino al momento in cui le sue parole mi si sono attorcigliate in gola, proprio mentre m’infrangevo contro le onde per guadagnare distanza. Ed il mare che mi impauriva ha smesso di essere là fuori, lontano, grigio. Ora è vicino, familiare. Stanco e affannato tra i marosi, ero completamente dominato da una profonda sensazione di gratitudine.

Mi sento ancora immensamente grato per il tempo che sto vivendo. Ho trasmigrato su Vancouver Island a metà dicembre, unendomi a Chris e Gerry e alla loro famiglia per respirare di nuovo aria di fattoria e attendere il responso dal lavoro di Port Moody. L’isola, pur essendo a pochi chilometri dalla città omonima, sembra un pianeta a se stante. Molte case costiere e lacustri sono appollaiate su steli di cemento a ricordare le palafitte, altre sono così piccole da contenere a malapena un letto e un tavolino, collegate direttamente al molo e ai kayak sempre pronti sui supporti.

Ho di nuovo le mani che odorano di fieno e cavalli e i pantaloni sporchi di fango. Eppure ho faticato a ritrovare la leggerezza del cuore, preso forsennatamente dal cercare un lavoro e spedire curricula. Questa fine d’anno è calata su di me con la stessa indole delle interrogazioni di scuola e non ho sinceramente saputo, per diversi giorni, in che direzione stessi andando. Poi sono andato a Cowichan Bay e c’è stato qualcosa che mi ha colpito appena entrato in quel paese. Una ad una le case sembravano scelte e posizionate dalle mani di un collezionista; così umili e a misura d’uomo, con le targhe di legno appese al portico o attaccate accanto all’ingresso; invitavano ad entrare e a sistemarsi sotto una coperta sulla poltrona, proprio lì vicino alla stufa. Di fuori, di sotto, il mare, che inumidiva le labbra della costa mite e persistente.

La bakery di Cowichan Bay è una capanna piena di luce d’oro, che nasconde il tepore delle sue pareti di legno e dei ricchi scaffali dietro i vetri appannati. Un chicco di grano nel grigio piovoso. Ho voluto davvero fermarmi lì, sapere di entrare ogni mattina per fare i miei impasti e poi tornare nella casa che avrei affittato poco lontano. Mi sono visto sistemato e soddisfatto. Ma sembrava non essere tempo. Le panchine lungo il molo erano vuote e bagnate. Un piccolo fuoribordo fino spariva coi suoi due marinai alla fine di una lunga e dritta scia in direzione della collina sul lato opposto della baia. La mia scia qui in Canada sta scomparendo, ma è stata vivida in queste due ultime, dense settimane.

A differenza di una strada, la scia di una barca mostra la direzione solamente quando si arriva a destinazione. Ho speso il mio tempo abbracciato a un sincero senso di inquetudine fino al momento in cui mi sono nuovamente affidato alla vita, quando la mia dermatite mi ha dato ragione. Non avevo volontà di chiudere qualcosa solo perché finiva un anno anagrafico, non ho forzato in direzione di nessuna liberazione. Mi sono solo seduto su una roccia lungo il Cowichan Valley Trail ed ho voluto bene alla terra e agli alberi e all’aria fresca che portava la sera. Non avevo freddo. Ho chiuso gli occhi senza pensare.

Pubblicato da lucafraz

Sono nato atopico e ho passato molto del mio tempo grattandomi braccia e gambe, perlopiù; quindi sono "diventato" atopico: ho smesso di abitare un luogo determinato.

2 pensieri riguardo “New Year’s Eve

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